Madre Teresa o Jack lo squartatore?

Intendiamoci, Raperonzolo si preferisce di gran lunga Madre Teresa, non ultimo il fatto che quando le sovviene quell’impeto da Jack lo squartatore ne seguono complessi di colpa di tale portata che non basterebbero anni di psicanalisi.
C’è un però.
E’ l’enigma insondabile della mamma.
L’eterno pusillibus.
Madre Teresa non sempre funziona (anzi, per lo più i figli non se la filano di pezza). Jack lo squartatore invece ottiene regolarmente risultati strabilianti.
Che fare?
Eppure la nostra non cede. E’ amante del dialogo e della comprensione, della fermezza senza intransigenza, della tolleranza con un  pizzico di rigore, del tono amorevole e della mano che accompagna. Ci prova  sempre. Solo che nella sua esperienza decennale di mamma (e non si capisce bene se sono i suoi figli che sono fatti in un certo modo, se è lei che ha sbagliato tutto fin dal principio o se la visione genitoriale del ventunesimo secolo presenti falle stile colabrodo), finché non si abbatte il pugno sul tavolo, non arriva l’urlo di Tarzan o parte il conto alla rovescia, alcune semplici richieste (parte della routine quotidiana e dunque ipoteticamente assodate) non vengono in alcun modo registrate dalla prole. 
In casa Rape’ il rapporto genitori-figli presenta solitamente un moto ondulatorio.
Cominciamo dal patatrac, ovvero la fase inferno, quando cioé i pacman polverizzano il livello di tolleranza genitoriale. Ne seguono Hiroshima e Nagasaki, requisizioni (di giochi) e deportazioni (nelle proprie camere). S’instaura un clima di terrore, leggi speciali. 
Rape’ si trasforma in una Kapo. 
I figli in due beati angelici.
Dopo alcuni giorni si entra nella fase paradisiaca. I beati angelici si lavano e si vestono puntuali la mattina, fanno i compiti senza fare storie, parlano invece di urlare, per lo più ubbidiscono e si muovono ad una velocità tarata per il mondo adulto. Rape’ torna Madre Teresa, compaiono premi, s’infondono elogi, si elargiscono coccole, si parla, si ride, si scherza.
Trascorsi alcuni giorni però i beati angelici acquistano disinvoltura e ricominciano a premere sull’acceleratore. E’ il purgatorio. Madre Teresa, amorevolmente comprensiva, si siede, parla, spiega:
“Amore, non devi urlare così, basta parlare.”
Figlio-due annuisce, si gira e urla a squarciagola.
“Bambini, lo sapete, mamma ve lo ha spiegato, dovete fare piano che papà sta lavorando.”
I bambini la ignorano perché i loro urli subissano la voce di Madre Teresa.
“Bambini, ora state tranquilli e cominciate a prepararvi che dobbiamo uscire.”
Lo stereo fa tremare i muri di casa e i bambini sono ancora in mutande.
Si va avanti così sette, otto, nove, dieci volte al giorno.
Di lì alla nuova discesa agli inferi il passo è breve.

Impellenza-madre

Talvolta i bambini vengono colti da un raptus meglio definito come impellenza-madre. Si manifesta in modo improvviso e repentino anche in bambini all’apparenza indipendenti. Di solito esplode con un urgenza deflagrante, imprescindibile e improrogabile. Le cause sono da rinvenirsi in alcune attività cui sono dedite le genitrici.
Vediamo alcune situazioni  scatenanti:
1. La cornetta del telefono
Quest’oggetto nelle mani della madre suscita gravi squilibri nell’assetto nervoso del bambino. La reazione solitamente è fulminea. La torre di Lego crolla, l’aereo precipita, il circuito ferroviario costruito con cura per ore abbandonato. La madre al telefono è un richiamo primordiale, un’urgenza uterina, un fabbisogno viscerale. La mamma con una cornetta in mano è una calamita che attrae il bambino anche quando lui non la vede, anche se lei ad un altro piano, anche se sta dietro una porta chiusa, anche se lei si muove in punta di piedi e digita un numero con un paio di guanti. Il bambino recepisce la mamma telefono come un transistor.
2. La doccia
La prole risponde alla mamma insaponata come Fido al lancio del bastone. L’istinto ad accorrere è irrefrenabile. Lo scrosciare dell’acqua ispira un bisogno spasmodico di comunicare. Il bambino irrompe allora nel bagno dietro la spinta di racconti improrogabili e domande impossibili e irrinunciabili. 
3. Il gabinetto
Se la mamma si chiude dentro abbatteranno la porta, se lei la lascia aperta le sue sedute diventeranno plenarie.
4. La notizia importante al telegiornale
La mamma non va oltre la sigla di apertura da quando è incinta.

Sette consigli per il rientro

1) Se possibile non rientrate. 
2) Se proprio dovete tornare prenotate la  vacanza successiva appena scesi dall’aereo. Fa bene al morale.
3) Rientrate non più di tre giorni prima dell’inizio delle scuole. Fa bene al rapporto genitori-figli.
4) Evitate i tradizionali 752 bucati che vi competono. L’estate è finita e la roba estiva non vi servirà fino all’anno prossimo. Potete benissimo sigillare le valige, metterle in soffitta e rimandare i bucati alla settimana prima della vacanza successiva.
5) Se gli zainetti dei vostri figli sono ricolmi di quindici tonnellate di cianfrusaglie raccolte in vacanza non cercate di fare la selezione di cosa serve cosa non seve e dove lo mettiamo e mamma perché lo vuoi buttare. Svuotate semplicemente l’intero contenuto in una scatola che chiamerete scatola delle cianfrusaglie. Avrete poi a disposizione dodici mesi per far sparire il contenuto ad un oggetto al giorno senza che se ne accorgano. La scatola sarà misteriosamente ma miracolosamente vuota e pronta per le tonnellate dell’estate successiva.
6) Se i vostri figli si rifiutano di togliersi i braccialetti del all inclusive non inseguiteli con le forbici per rimuoverglieli con la forza. Abbiate fede. In vacanza ne hanno rotti e persi almeno sei in due settimane.
7) Se avete messo su quattro chili rimpinzandovi al buffet dell’hotel evitate specchi e bilance: non sono dimagranti.

Facciamo un giretto

Il sonnellino pomeridiano del bambino è un momento fisiologicamente fondamentale, non solo per il giovane bipede che necessita di un numero di ore di sonno e riposo adeguati, ma per la salute mentale e fisica del genitore. Avviene per tanto che nei primi tre anni di vita della prole, le routine familiari finiscano per ruotare esclusivamente in funzione dei suddetti sonnellini.
Possono però verificarsi alcune circostanze in cui, vuoi perché si è in vacanza, o semplicemente perché il bambino di punto in bianco ha deciso di non volere più andare a dormire dopo pranzo (salvo addormentarsi sistematicamente nel tardo pomeriggio, e rifiutarsi poi di andare a dormire se non a tarda, tardissima nottata).
Poiché la necessità aguzza l’ingegno e anche lo stoicismo, ecco alcune situazioni patologicamente interessanti che vedono come protagonisti i genitori nell’ora della siesta.
Immaginate un ribollente agosto in un’isola greca. Alle 14:00 il sole spacca le pietre, fonde l’asfalto, fa evaporare un bicchiere d’acqua in otto minuti netti. In giro non c’è un anima, a parte qualche vecchina vestita di nero al fresco di un portico o all’ombra dei rampicanti. Il resto delll’umanità è sotto un ombrellone, o in mezzo al mare, o immersa in una piscina o ad ustionarsi su una sdraio. Il silenzio è interrotto solo dalle cicale e alcuni cigolii.
Cosa sono questi cigolii?
“Anche oggi, eh?” Dice il papà pinco con aria simpatetica.
“Eh sì, anche oggi.” Risponde la mamma pallina con un sospiro.
I due si incrociano in opposte direzioni, ciascuno sospingendo il proprio passeggino. Chi in discesa, chi in salita lungo la strada sterrata.
“E’ dura, eh?” Dice la mamma pallina a cui per fortuna tocca ancora la discesa.
“Non me ne parli. Ieri ci ho messo quarantacinque minuti.” Risponde la mamma caia più sudata di una scaricatore de Il Cairo.
Le due s’incrociano al bivio della circonvallazione del paese.
“Speriamo di non rivederci.”
“Speriamo di no.” Si dicono congendandosi.
Il sole è ora una palla di fuoco.
“Ancora niente?” Chiede mamma caia, ispirata dall’approssimarsi della discesa.
“Macché, oggi non ne vuole sapere. Sono già al quarto giro” Risponde papà sempronio incupito dall’approssimarsi della salita.
Alle ore 14:00 sulle stradine sterrate e periferiche delle isole greche, strane e imperscrutabili amicizie si formano tra le infinite circonvallazioni dei sospingitori di passeggini.

Oppure prendiamo una mamma, tranquilla e disonvolta, che con ogni tempo, ogni clima, ogni impegno, quotidianamente alle 13:30, terminato il pasto e letta la favola, dica al proprio treenne.
“Facciamo un bel giretto in macchina?”
Il treenne in questione, essendo pienemente convinto che la madre sia matta da legare (che non si capisce perché ogni santo giorno si ostini a caricarlo in macchina e a girare e rigirare intorno all’isolato) accetta pervaso da un malinconico senso di pietà verso la genitrice.
“Ma dove andiamo, mamma?” Chiede mentre lei lo aggancia al seggiolino.
“Da nessuna parte. Facciamo un bel giretto. Vediamo il panorama…”
“Ma perché dobbiamo sempre fare questi giretti, mamma?”
“Vuoi un po’ di musica, amore?” chiede lei accendendo la radio e mettendo in moto.
Poi lui, regolarmente, al secondo giro s’addormenta come un sasso.

E non aveva più niente

Tra le caratteristiche dei figli c’è quella di crescere. E’ un fatto naturale e per tanto dovrebbe essere per ogni mamma scontato. Scontato è anche il fatto che madre natura, in quanto madre anche lei, sia dotata di indole imprevedibile. Ne deriverebbe dunque che si dia per scontato che i figli crescano alla come capita. Invece no. Le mamme sono vittine di una psicosi di stampo medico-scientifica che le porta ad illudersi che i figli crescano in modo omogeneo. Perché, intendiamoci, i figli sono fatti di cellule, ossa, tessuti che gradualmente si moltiplicano ed estendono. Dovrebbe esistere un principio fortemente razionale relativo alla crescita: un millimetro oggi, un millimetro domani…
La crescita dei figli, al contrario, è un fatto puramente irrazionale. Talvolta, nel genitore distratto, può anche dar adito ad una sindrome allucinatoria. I figli infatti crescono improvvisamente dalla notte al giorno a intervalli casuali e occasionali che abbattono ogni legge fisica.
Ecco dunque che il vostro primogenito continua a indossare gli stessi abiti per un lungo, lunghissimo tempo, e salvo l’occasionale acquisto causa logoramento vi dimenticate perfino che abbia bisogno di vestiti e non sia nato direttamente dentro a quelli che gli avete sempre visto addosso. Poi una mattina lui si veste, viene da voi, lo guardate e lanciate un urlo. I pantaloni, indossati perfettamente fino al giorno prima, ora sono alla saltafosso, il maglioncino ampio e comodo ora sembra spremere il bambino come un tubetto di dentifricio, le lunghe maniche dai tripli risvolti ora gli arrivano ai gomiti.
Osservate la taglia: dai 5 ai 6 anni. Vostro figlio ne ha 7. Panico.
Anche per la madre ben organizzata, quella che tende a pianificare e distribuire le spese, quella che di tanto ai saldi compra le cose di una taglia in più, rivestire i figli non è mai un piacevole gironzolare, selezionare, valutare, combinare. No, una mattina la mamma si sveglia, guarda il figlio e si precipita fuori armata di tutto, contanti, carte di credito, libretti degli assegni.
“Sa…” Dirà alla commessa, sommersa da un Everest di vestiti, dopo aver ipotecato casa, “…non aveva più niente…”
C’è poi sempre quel cassetto, quello di emergenza, quello con i vestiti di una taglia in più che avete comprato ai saldi. Scordatevelo. I bambini infatti non crescono di una taglia, crescono di tre, avendo saltanto a pié pari la taglia che con anticipo gli avrete comprato.
Se pensate allora, credendovi furbe o parsimoniose o ambientaliste o anticonsumistiche, di riciclare gli abiti dei primogeniti per i vostri secondogeniti, tenete presente che nel 99 periodico per cento dei casi si applica la legge di Murphy della mamma relativa al vestiario:
1. Il secondo figlio è di solito di sesso diverso dal primo.
2. Anche se il secondo figlio è delle stesso sesso del primo sarà probabilmente nato nell’opposta stagione e dunque non riuscirete ad utilizzare nessuno dei capi di vestiario appartenuti al fratello maggiore.
3. Anche se il secondo figlio è dello stesso sesso del primo ed è nato nella stessa stagione avrà una conformazione fisica e ritmi di crescita completamente diversi.
4. Nel caso in cui il secondo figlio fosse dello stesso sesso del primo, fosse nato nella stessa stagione e avesse la stessa conformazione fisica, riuscirete a ritrovare in soffitta la valigia dei vecchi abiti solo quando ormai sarà troppo tardi per utilizzarli.

Vanghe e zappe

“Pronto, è il comune della ridente cittadina di Hertford?”
“Sì signora, in che cosa possiamo servirla?”
“Sa, noi adesso stiamo vivendo un periodo un po’ strano in cui stiamo tutti a casa appassionatamente. E come saprà bene, in un’era in cui si vive di stress e ritmi insostenibili, periodi eccessivi di serenità ed armonia possono dare alla testa.”
“Certo, capisco. Può capitare.”
“Fatto sta che siamo stati colti da psicosi maso-naturalistico-ambientalista e vogliamo cominciare a vangare e zappare la terra, disserbare, piantare, innaffiare, innestare, potare per un numero imprecisato di ore al giorno con ogni clima, ogni temperatura e tasso d’umidità, preoccupandoci al tempo stesso di rincorrere un treenne vulcanico e calare giù dal cyber-spazio un settenne visionario. Tutto allo scopo di crescerci i nostri ortaggi.”
“Mi sembra che avete le idee chiare.”
“Sì, ma vede, il problema è che nel nostro giardino se piantiamo due zucchine non c’è più spazio neanche per una carota. Potete aiutarci?”
“Ma certamente signora. Siamo sempre lieti d’incoraggiare iniziative di stampo maso-naturalistico-ambientalista. Se vuole le possiamo dare in usufrutto un piccolo appezzamento di 120mq a mezzo chilometro da casa dove potrà vangare, zappare, disserbare, piantare, innaffiare, innestare, potare per un numero imprecisato di ore al giorno con ogni clima, ogni temperatura e tasso d’umidità.”
“Fantastico! E quanto costa?”
“Ma una cifra simbolica. D’altra parte se voi mantenete il terreno e lo rendete produttivo fate un favore a tutta la comunità. Sono in tutto 13 Sterline l’anno.”

Così, in piena crisi maso-naturalistico-ambientalista ora la Rapefamiglia gode di 120mq di orto dove potrà vangare, zappare, disserbare, piantare, innaffiare, innestare, potare per un numero imprecisato di ore al giorno e probabilmente, tra un pomodoro, una patata e un fagiolino perdersi i figli in un qualche attiguo pollaio.

Quello che Rape’…

Quello che Rape’ non aveva considerato è che sarebbe risultato difficile spiegare a Figlio-due che il telecomando della Wii non va esattamente:

a) leccato come un cono gelato
b) rosicchiato come un croccantino
c) dato in testa al fratello come una mazza
d) lanciato stile giavellotto

Difficile inoltre fargli capire che i circa otto tasti presenti in tale telecomando li può innocuamente premere tutti tranne uno, quello che spegne l’intera console.