C’è sempre speranza

Carissima…
“Mamma! Guarda!” Irrompe Figlio-Uno, computer in mano. “Sono riuscito ad usare il green screen e farmi apparire in un’astronave!” Rape’ osserva estatica gli effetti speciali del figlio cineasta.
…scusa…
“Mamma!” Chiama Figlio-due dalla cucina, ha aperto tre cassetti e tirato fuori un numero imprecisato di oggetti tra cui forbici e scotch. “Mi aiuti a finire il mio libro?” I libri di Figlio-due sono una serie di fogli bianchi rilegati con lo scotch su cui scrive una parola per pagina. Anche questo è un inizio.
se ti…
“Mamma! Riecco Figlio-uno, sempre con il laptop in mano. Le mostra una serie di tutorials che dovrebbero svelarle ciscuno dei numerosi misteri di Adobe After Effects.
…rispondo…
 “Mamma!” Figlio-due reclama la merenda. Rape’ gli passa una banana.
… solo ora, ma…
 “Mamma!” Figlio-uno, appare per la terza volta con il laptop, sta per farle vedere qualche cosa ma s’interrompe. Sbircia lo schermo della genitrice.
“Mmhh, credevo stessi scrivendo un altro libro. Quando lo scrivi un altro libro?”
Rape’ lo osserva con un’espressione da ameba, poi sposta lo sguardo laconico verso le otto parole otto della mail che da giorni sta tentando di scrivere.
La vita è lunga, c’è sempre speranza.

Parole chiave: storie tutte da esplorare

A leggerle così le parole chiave dei motori di ricerca si viene colti da una certa inquietudine. Se per esempio qualcuno arriva sul tuo blog avendo inserito “mamma consola il figlio porno” ti trema la terra sotto i piedi, e la domanda tuona in testa: chi e perché inserisce queste parole, cosa cerca e soprattutto perché?
La prima cosa che si pensa, sarà perché siamo tutti un po’ cinici al fondo di noi stessi, è che qualche depravato sia alla ricerca di cose oscene, magari qualche immagine un po’ spinta per passare la serata. Però, diciamocelo, l’ingenuità di chi cerca cose del genere su Google, più che inquietare fa sorridere, ma è un sorriso tragico, di quelli che rimandano alla miseria di molta umanità che ci circonda, piccola e oltretutto pure imbecille. 
Ma le spiegazioni possono essere molteplici, e la curiosità (che ovviamente resterà per sempre insoddisfatta) dà adito a numerose immagini, delle storie tutte da esplorare. 
In una versione stile Almodovar, a Rape’ viene in mente una madre, una di quelle casa e chiesa con i bigodini in testa; il figlio è un travestito che la notte fa lo spogliarellista in un locale. La madre naturalmente non ne sa niente, poi un giorno lui crolla e confessa tutto. Ne segue una di quelle scene pazzesche dove tra lacrime e oggetti che volano, rientra il padre, pipa in bocca e giornale sotto braccio, ignaro di ciò che sta accadendo cerca le sue pantofole. Silenzio. Lei, bigodini in testa, non sa che pesci pigliare. Solo Google la potrà salvare. 
Oppure siamo in pieno dramma neorealista: una madre apre una porta che non dovrebbe aprire, dietro si cela il fattaccio. Sola e affranta non ha nessuno a cui confidarsi, a parte Google, protettore delle anime in pena.
C’è poi la versione intellettuale: uno scrittore è alla ricerca di materiale. Il solito dramma della pagina bianca. Cincischia, si rigira le parole, ma le storie lo evitano come la peste bubbonica. Poi finalmente il guizzo di genio, è una specie di scommessa, pesca dieci parole a caso (alcune ordinarie, altre un po’ piccanti) e comincia a inserirle a casaccio su Google. Riuscirà il nostro eroe a scriverci un romanzo?
Poi magari si è trattato solo di un errore di battitura, la persona intendeva “madre consola il figlio pirla”, in tal caso potrebbe essere stata la madre del trota.

Dis-funzioni pasquali

Pasquetta uggiosa e fredda. Sarebbe stata l’occasione per un meritato relax: un libro in mano, una partita a Monopoly e quattro chiacchiere in santa pace. Ma naturalmente Rape’, Mr & prole sono riusciti a trasformare la quieta giornata in un tour de force senza eguali. 
Mattina: partenza per il DIY, acquisto di utensili di varia natura tra cui pennelli, vernici, stucchi, palette e ah! e già che ci siamo… Praticamente un rifornimento da tempi di guerra.
Pomeriggio: Mr di qua, Rape’ di là, uno che scartavetrava e l’altra che ridipingeva; uno che smontava, l’altra che strofinava. Chi l’ha detto che avere bagno e toilet separati è un problema? Intanto i bambini, complice la scarsa quadatura degli ambienti da ristrutturare, dopo giochi vari si ritiravano nelle proprie stanze con i reciproci computer.
Prima interruzione: “Mammaaaa!!!” Figlio-due non riesce ad accedere a nessuno dei suoi siti preferiti. Rape’ molla i pennelli. Due ore e un mal di testa dopo, riesce a distattivare il “parental control” e a riattivarlo in forma più mansueta. In fondo Binweevils e Club Penguin non è che siano esattamente dei siti porno.
Seconda interruzione: “Mammaaa!!! Papà!!!” Figlio-uno singhiozza rasente le convulsioni. “Che è successo?” Tra un singulto e un soffiamento di naso i nostri scoprono che l’incauto primogenito ha cliccato “ok” alla richiesta di fomattare il proprio hard drive. Tale hard drive gli era stato regalato a Natale allo scopo di contenere la sua crescente filmografia, così in caso non andasse perduta si fosse, per qualche motivo, rotto il computer. Il nostro, non sapendo cosa volesse dire “formatting”, e ritenendo superflo chiedere, cercare su Google o sul vocabolario, ha fatto piazza pulita di tutti i film da lui diretti e interpretati negli ultimi due anni, una trentina. Panico. Dramma. Tragedia. Urli. Isteria. Fermi tutti. 
Grugnendo e ringhiando, Rape’ bofonchia qualcosa, poi tira fuori il proprio asso nella manica, il suo hard drive dove naturalmente c’è la cartella “Figlio-uno backup”, creata allo scopo di salvare la vita al figlio in caso combinasse qualche castroneria. “Ma… ma…ma…ma… tu… li… avevi… copia…ti…tut…ti??? GGGGrr…azie!!!”
Sera: Figlio-due ha i suoi siti, Figlio-uno recuperato i suoi film, bagno e toilet sono il dopo Norimberga; pianerottolo e ingresso ricettacoli di shampi, bagni schiuma, tende della doccia, paperine, spugne, specchi, armadietti, asciugamani, tappetini, che per raggiungere le stanze da letto bisogna fare il salto alla cavallina. I pavimenti sono ricoperti da tre dita di polvere. La famiglia si siede finalmente a cena.
“Ahhhhh!!!” Grida Rape’. Sei occhi la osservano confusi, ma lei s’è già infilata la giacca, afferrato le chiavi della macchina e si è catapultata fuori. Improvvisamente si è ricordata che il giorno dopo i figli sono a un holiday club e necessitano di un pranzo al sacco. Ovviamente in casa non c’è neanche il pane per i panini e il negozio chiude in 10, 9, 8…

Ma avevi detto che…

Uno dei talenti di maggiore rilievo della specie infantile è quello della duttilità di ascolto. Spieghiamoci. Il bambino sente perfettamente, ma nella transizione tra l’udito e il capito interviene un filtro che consente al fanciullo di plasmare il recepito come la plastilina. Vediamo alcuni esempi:
Interpretazione
“Mamma posso mangiare i cioccolatini?”
“Sì, ma solo uno.”
“Perché non due?”
“Perché ho detto uno solo e troppi ti fanno male.”
“Ma avevi detto che li posso mangiare!”
Chi tace acconsente
“Mamma, vado su Hotmail.”
Il vostro bambino ha 5 anni, sa a malapena scrivere e certamente non ha un account hotmail. Vi rivolge tale affermazione quindici volte al giorno. Dopo dieci no e quattro nonessereridicolo, decidete di non rispondere. 
“Grazie mamma, grazie!” Risponde correndo al computer e aprendo MSN che ce lo dovete tirare via di forza e scoprite così che sa anche la vostra password.
Contropiede
Siete sotto la doccia, il bambino fuori della porta vi dice un sacco di cose di cui non capite una cicca.
“kzvblsi hs u woiugmw9gèw”
“Aspetta che sto facendo la doccia.”
“i hgihgwoighòwiogjwoij”
“Ho detto un attimo che non capisco.”
“jsh pirgwichwpoirfpww…scrivere”
“Va bene, sì, puoi scrivere.”
Poco dopo, mentre ancora gocciolate, trovate che ha scritto il proprio nome sul muro. Saltate su tutte le furie.
“Ma avevi detto che…”
Manipolazione
Dalla mamma.
“Posso fare una capanna con le lenzuola?”
“Sì ma un’altra volta che ora è quasi pronto da mangiare.”
Dal papà, in un’altra stanza, circa 30 secondi dopo.
“Mamma ha detto che posso fare una capanna con le lenzuola, me le prendi dal cassetto?”
Il papà ubbidisce, la mamma litiga con il marito.
“Ma non gli avevi detto che…”
La testimonianza dei genitori non reggerebbe in nessun tribunale

Credo sia passato un tasso

Dopo due settimane di slittini, pallate, spalate, scivoloni, pantani e fanghiglia, finalmente nella ridente Hertford si è sciolta la neve. Raperonzolo, con un respiro di sollievo, riacquista possesso della casa, si libera della pila di moonboots accatastati all’ingresso e compila una lista lunga come un’anaconda di cose da fare durante il weekend. Un moto interiore le induce un senso di responsabilità matriarcale profondo e le suggerisce che è ora che l’ambiente circostante assuma sembianze vagamente vivibili.
“Ehi Rape’, credo sia passato un tasso per il giardino stanotte.” Ha detto il Mr venerdì mattina.
Da anni una famigliola di tassi si è sistemata in pianta stabile in una tana a ridosso del giardino di Rape’. La famigliola è ora una colonia di estensione imprecisata e residente in una galleria di tunnel pari alla quadratura delle fognature di Parigi. A dividere i due gruppi mammiferi, bipedi e scavatori, due metri di dirupo. Purtroppo i vicini della Rapefamiglia, notoriamente begalini e dotati di un senso dell’equilibrio piuttosto sommario, tendono a rotolare giù a ritmi divenuti ormai insostenibili.
Credo era ovviamente un eufemismo.
Un’occhiata al giardino ha chiarito l’equivoco. L’apocalisse. La casetta dei bambini, una palafitta; la staccionata, un set di stuzzicadenti; il prato, un orto pronto per la semina.
“Ehi Mr, credo anch’io che sia passato un tasso.”

Papà, ma tu che ci fai qui?

Figlio-uno e Figlio-due, per fortuna loro, godono di anticorpi stile marines. Le loro malattie sono così lievi e sporadiche che Rape’ è in grado di ricordare esattamente l’occasione e la temperatura di ogni malattia. Figlio-uno, per esempio, registrò un 38,2 a 15 mesi quando gli spuntarono tre denti tutti insieme. Figlio-due in un paio di occasioni ha avuto 38, continuando a turbinare come se nulla fosse.
Detto questo, se un giorno Figlio-uno praticamente stramazza al suolo, non mangia per due giorni gomitando pure l’acqua che beve e il termometro raggiunge la (per lui) stratosferica temperatura di 38,8 è il panico. Se sta così la malattia deve essere seria, gravissima. Sarà suina?
Eccolo allora che giace per la prima volta in vita sua in un letto. Proprio così, a quasi otto anni, non era mai stato a letto con la febbre. Per lui è una condizione nuova e terrificante. Così tartassa la genitrice di domande di genere medico-scientifico: “perché viene la febbre?” “Perché quando hai la febbre ti fanno male la testa e lo stomaco?” “Perché i virus sono sempre diversi?” “Perché quando stai male il cuore batte più veloce?”
Per rassicurare il pargolo perduto in questo vortice sconosciuto, la Rapefamiglia opta per un temporaneo riarrangiamento dell’ubicazione notturna: Figlio-uno nel lettone sul lato di mamma, mamma nel lettone sul lato di papà, papà nel letto di Figlio-due e Figlio-due nel letto di Figlio-uno. Grazie a questa riorganizzazione, Rape’ – in via della stretta vicinanza con il pargolo malato e non abituata al megacuscino del Mr – si è svegliata con un bel febbrone e il torcicollo. Il Mr è stato svegliato alle 4:30 del mattino da un baldanzoso Figlio-due che gli è saltato sul letto invocando il nome del fratello maggiore, solo per realizzare con un attimo di ritardo che le dune di piumone su cui saltava erano decisamente più alte del previsto: “Papà, ma tu che ci fai qui?”
Figlio-uno, d’altra parte, ha dormito molto bene mostrando pronti segni di recupero.

Uno ci prova

Sulla porta della camera dei bambini chi sono tre sticker charts, una per ciascuno e ciascuna con un target specifico. Il raggiungimento del target viene premiato con una stellina, quando si raggiungono 40 stelline si ha diritto a un premio.
La prima chart è di Figlio-uno, il suo target è:
lavarsi e vestirsi entro le 8:20.
La seconda è di Figlio-due, c’è scritto:
non allagare il bagno.
La terza chart invece è di Rape’:
non urlare quando alle 8:40 Figlio-uno è ancora senza mutande, ha un calzino solo e osserva il soffitto canticchiando, e non far tremare gli anelli di Saturno quando il bagno sembra la palude dei caimani
.

Dopo tre settimane, Rape’ ha collezionato 4 stelline. Non che il sistema funzioni ma uno ci prova.

Marcia notturna

Quando un anno fa Rape’ e le amiche S & E, mamme di Calimero e James Bond, fedeli compagni di Figlio-uno, ricevettero la lettera del gruppo scout in cui in pargoli venivano invitati a partecipare all’annuale marcia notturna di cinque ore, parte di una competizione a squadre tra i vari gruppi della regione, le nostre, di comune accordo, driblarono l’evento con un premuroso “sono troppo piccoli!!!”
I bambini insorsero in rivoluzione.
“Va bene, la farete l’anno prossimo che sarete più grandi.” Dissero loro, come se l’anno successivo fosse un’entità astratta e non necessariamente parte di un futuro a divenire.
Quest’anno, all’arrivo della puntualissima lettera, alle incaute elargitrici di promesse ogni via di fuga era preclusa.
“Aiuto! partecipa anche Figlia grande, ma parte arriva due ore più tardi. Come faccio ad accompagnare e riprendere anche James Bond senza fare il pendolino otto volte?” Dichiara nel panico E.
“Non ti preoccupare, a James Bond ci penso io.” Afferma, sicura del fatto suo, Rape’.
“Quella sera ho una cena con dei colleghi di lavoro, non posso andare a riprendere Calimero!” Esclama S.
No problem. Ci penso io.” Risponde Rape’, fiduciosa del fatto di poter lasciare Figlio-due col Mr e di dover solo andare a riprendere i bambini alla sede scout a due passi da casa.
“Ehi, Mr, questa mezza maratona che hai segnato sul calendario per il 26 settembre, giorno della marcia notturna di Figlio-uno, la fai di mattina, vero?”
“Macché mattina Rape’, non è una mezza maratona, è la Rat Race, ci si iscrive alle 11 di mattina, si fa il check-in alle 15:00, si parte alle 18:00 e comporta corse nel fango, nascondino nelle fognature, lanci da grattacieli, cacce al tesoro nei tunnel della metropolitana. Dura ore e ore. Uscirò all’alba e tornerò a notte fonda.”
“…”
Poi la distratta Rape’ rilegge con cura il foglio con i dati della marcia notturna dei bambini: appuntamento a Much Hadham.
“Much Hadham… Ma dov’è Much Hadham?”
“E’ vicino, Sarà una mezzoretta da Hertford.”
“Mezz’ora???”
Ora la nostra contempla con sguardo allucinato la prospettiva di Figlio-due strappato al sonno e le coperte e trascinato in macchina in giro per l’Hertfordshire nel cuore della notte a riprendere tre euforici settenni reduci da cinque ore di marcia.
Aiuto.
Seguono intrecci, scambi e riorganizzazzioni.
“Allora facciamo così, Rape’, visto che non c’è il Mr, mandiamo Figlia grande con T&P che la riaccompagnano anche, tu porti Figlio-uno, con Calimero e James Bond e noi li andiamo a riprendere.”
“Rape’ ho deciso che visto che la cena è più sul tardi, io posso venire in macchina con te. Calimero lo riporta J insieme a Oliver Twist e E riprende Figlio-uno con James Bond. Si tratta solo bene di capire come organizzarsi con gli seggiolini…”
Seguono trigonometrie sulla razionalizzazione del passaggio di macchina in macchina degli seggiolini, essendo i bambini accompagnati e ripresi da un numero imprecisato di macchine e di genitori di cui si è perso sia il conto che l’identità. Poi, fissati appuntamenti e sincronizzati gli orologi, si pensa all’inventario.
“Ehi Rape’, la lista dice che lo zainetto deve avere un rivestimento interno separato e impermeabile altrimenti la squadra perde punti… “
“E se mettessimo dentro lo zainetto una impermeabilissimo e separatissimo sacchetto di plastica?”
“Ehi, Rape’, ti sei ricordata che gli snack devono avere l’etichetta con il nome della squadra?”
“Ma io gli dò una banana, che faccio scrivo il nome sulla buccia???”
Così, etichettata la buccia di banana, reperita una giacca catarifrangente dal costume di Bob the Builder di Figlio-due (taglia da 2 a 3 anni) che avvolge Figlio-uno come un tubetto di dentifricio (spremuto), smontato tre cassetti alla ricerca di un paio di guanti ed un berretto, allacciato quattro volte gli scarponcini a Figlio-uno, Rape’, alle tre del pomeriggio, pur con già addosso una stanchezza abissale, si sente relativamente soddisfatta. Poi apre il portafogli per infilarci un buono sconto ed ha un leggero smarrimento. Lo spazio vuoto là dove dovrebbe essere presente il suo bancomat le regala l’immagine di alcune ore prima: la spesa, il carrello, Figlio-due scomparso dietro la tendina delle foto tessera e il bancomat lasciato inesorabilmente dentro la macchinetta al punto cassa.
Panico.
Restiamo calmi.
No, panico.
No, restiamo calmi.
“Hello, è il supermercato della ridente Hertford?”
“Certo, signora in che cosa possiamo servirla?”
“Sarei quella fessa che ha lasciato il bancomat alla cassa questa mattina… la prego, mi dica che lo avete trovato…”
“Se è la signora Rape’ direi che è fortunata, ce lo abbiamo qui al Costumer Service.”
Allora esiste…
Ora a Rape’ non resta che fermarsi lungo la strada e mollare i quattro bambini a S mentre va a recuperare il bancomat.
Drin!!!
“Rape’, cambio di programma. E’ andato tutto storto. Calimero lo porto io perché non ce la facciamo a venire da te in tempo…”
“Ma come lo accompagni tu, che è successo?”
“Niente, è solo che abbiamo due scarponcini sinistri.”
“Due scarponcini sinis…”
Click.
Ora a Rape’ non resta che fermarsi lungo la strada e trascinarsi tre bambini dentro al supermercato mentre va a recuperare il bancomat e speriamo di arrivare in tempo.
Drin!!!
“Rape’, cambio di programma. E’ andato tutto liscio. Stiamo arrivando da te. Al negozio hanno trovato la scatola con i due scarponcini destri…”
“Ma come avevi fatto a comprare due scarponcini sinis…”
Click.
Miracolosamente in perfetto orario, Rape’, S e E si incontrano. Rape’ ha localizzato il suo bancomat, Calimero ha uno scarponcino destro e uno sinistro. E. sembra l’unica a non aver perso la testa.
“Ehi, E, perché sulla merendina di James Bond hai scritto Bengeo 1 invece che Hertford 3?”
“Oh no! Ho etichettato le cose di James Bond con il gruppo di Figlia grande e le cose di Figlia grande con il gruppo di James Bond!!!”

Facciamo un giretto

Il sonnellino pomeridiano del bambino è un momento fisiologicamente fondamentale, non solo per il giovane bipede che necessita di un numero di ore di sonno e riposo adeguati, ma per la salute mentale e fisica del genitore. Avviene per tanto che nei primi tre anni di vita della prole, le routine familiari finiscano per ruotare esclusivamente in funzione dei suddetti sonnellini.
Possono però verificarsi alcune circostanze in cui, vuoi perché si è in vacanza, o semplicemente perché il bambino di punto in bianco ha deciso di non volere più andare a dormire dopo pranzo (salvo addormentarsi sistematicamente nel tardo pomeriggio, e rifiutarsi poi di andare a dormire se non a tarda, tardissima nottata).
Poiché la necessità aguzza l’ingegno e anche lo stoicismo, ecco alcune situazioni patologicamente interessanti che vedono come protagonisti i genitori nell’ora della siesta.
Immaginate un ribollente agosto in un’isola greca. Alle 14:00 il sole spacca le pietre, fonde l’asfalto, fa evaporare un bicchiere d’acqua in otto minuti netti. In giro non c’è un anima, a parte qualche vecchina vestita di nero al fresco di un portico o all’ombra dei rampicanti. Il resto delll’umanità è sotto un ombrellone, o in mezzo al mare, o immersa in una piscina o ad ustionarsi su una sdraio. Il silenzio è interrotto solo dalle cicale e alcuni cigolii.
Cosa sono questi cigolii?
“Anche oggi, eh?” Dice il papà pinco con aria simpatetica.
“Eh sì, anche oggi.” Risponde la mamma pallina con un sospiro.
I due si incrociano in opposte direzioni, ciascuno sospingendo il proprio passeggino. Chi in discesa, chi in salita lungo la strada sterrata.
“E’ dura, eh?” Dice la mamma pallina a cui per fortuna tocca ancora la discesa.
“Non me ne parli. Ieri ci ho messo quarantacinque minuti.” Risponde la mamma caia più sudata di una scaricatore de Il Cairo.
Le due s’incrociano al bivio della circonvallazione del paese.
“Speriamo di non rivederci.”
“Speriamo di no.” Si dicono congendandosi.
Il sole è ora una palla di fuoco.
“Ancora niente?” Chiede mamma caia, ispirata dall’approssimarsi della discesa.
“Macché, oggi non ne vuole sapere. Sono già al quarto giro” Risponde papà sempronio incupito dall’approssimarsi della salita.
Alle ore 14:00 sulle stradine sterrate e periferiche delle isole greche, strane e imperscrutabili amicizie si formano tra le infinite circonvallazioni dei sospingitori di passeggini.

Oppure prendiamo una mamma, tranquilla e disonvolta, che con ogni tempo, ogni clima, ogni impegno, quotidianamente alle 13:30, terminato il pasto e letta la favola, dica al proprio treenne.
“Facciamo un bel giretto in macchina?”
Il treenne in questione, essendo pienemente convinto che la madre sia matta da legare (che non si capisce perché ogni santo giorno si ostini a caricarlo in macchina e a girare e rigirare intorno all’isolato) accetta pervaso da un malinconico senso di pietà verso la genitrice.
“Ma dove andiamo, mamma?” Chiede mentre lei lo aggancia al seggiolino.
“Da nessuna parte. Facciamo un bel giretto. Vediamo il panorama…”
“Ma perché dobbiamo sempre fare questi giretti, mamma?”
“Vuoi un po’ di musica, amore?” chiede lei accendendo la radio e mettendo in moto.
Poi lui, regolarmente, al secondo giro s’addormenta come un sasso.

Quando l’ortolana va in vacanza

Incapace di conciliare le proprie molteplici identità, da qualche mese a questa parte Raperonzolo ha devoluto gran parte delle sue già scarse energie a perfezionare l’arte della vanga e della zappa nella gestione del proprio allotment. Questo perché la testa ogni tanto bisogna anche usarla, fosse anche solo per asciugarsela dal sudore.
Bisogna precisare che Rape’ alterna periodi di grande creatività e frenesia scrittoria (in cui non è inconsueto trovarla alle quattro del mattino ancora intenta a martellare la tastiera come un’invasata) a periodi di vuoto cosmico-cerebrale. Le fasi di obnubilazione mentale sono di consueto assai pericolose. Negli anni la si è vista, per il lasso di periodo necessario a recuperare le proprie facoltà di Homo Sapiens, nelle sale cinematografiche intenta a digerire cinque film al giorno con le pupille dilatate, incollata alla Playstation per dieci ore di fila intonando un mantra, in cima ad una scala freneticamente rimuovendo alcune centinaia di metri quadri di carta da parati. Questo tanto per dire che la sua attuale ossessione ortolana non è né la prima, né la peggiore.
A partire da aprile la nostra ha zappato, vangato, disserbato, seminato, innaffiato, ridisserbato, rivangato e riseminato colta da raptus vegeto-creativi. Ha anche imparato tante cose. Ha scoperto infatti che i cavolfiori se li mangiano le lumache, che le piante di melanzane osservando il plumbeo cielo britannico entrano in uno stato depressivo di tale portata che solo anni di psicoanalisi potrebbe convincerle a procreare. Ha appurato che il grano turco va piantato al tempo giusto e non quando gira alle tempistiche di Rape’ e che i pomodori sotto i diluvi universali delle estati di Her Majesty marciscono prima di maturare. Ha constatato che la rughetta e la lattuga sono appetitose per gli insetti, mentre le carote se le fregano talpe, conigli e altre caroto-fameliche creature. Si è resa conto anche che i propri figli, passata l’iniziale euforia, e nonostante godano in loco di una molteplicità di giochi, ogni qualvolta raggiungono la famigerata terra di orto regrediscono ad un primordiale staro di acuta, reiterata, spasmodica, dichiarata insofferenza, trasformando i pochi metri quadri di terra coltivata in una irrazionale bolgia capriccio-cacofonica ove la nostra zappa licantropamente ululando.
A Raperonzolo non restavano che le zucchine: sane, robuste e rigogliose piante in grado produrre e gratificarla per tutti i suoi reiterati ed efferati sforzi (tanto che da tre mesi a questa parte nessuno in famiglia chiede più che cosa c’è da mangiare per pranzo o per cena).

“Sai, Mr, ho visto che le zucchine crescono molto rapidamente. – Ha detto lei poco prima di partire per le vacanze. – Non raccogliendole mentre siamo via, mi sa che poi le troveremo un po’ grosse.”

Dieci giorni e quindici chili di una decina di mostruosità lunghe come mazze da baseball e spesse come le cosce di Raffella Carrà, Raperonzolo si è resa conto di aver sottovalutato non poco la questione-orto.